lunedì 19 marzo 2012

Relazione di Serena Esposito: la figura di Medea tra distruttività e creatività

Quando mi è stato chiesto di intervenire su Medea, tra distruttività e creatività ho pensato al fatto che più che distruttività avrei dovuto parlare, per citare Di Benedetto, del tragico, dell'eroina tragica tra sofferenza e consapevolezza.

Ma partiamo dalle fonti, prenderò Euripide e la sua Medea. E questa è una scelta ben precisa.
(Avrei potuto rifarmi a testi e versioni del mito precedenti a Euripide, dove non si parla di figlicidio, ma anzi Medea cerca in ogni modo di salvare i suoi figli, i quali in un caso vengono uccisi dagli abitanti di Corinto.)
Tutte voi sapranno sicuramente la trama della tragedia che viene messa in scena nel 431 a.C ad Atene ma sapranno anche che il mito di Medea e degli argonauti risale a molto tempo prima. La saga di Giasone e degli argonauti era più antica di Omero.
La tragedia di Euripide parte da quando Medea e Giasone sono approdati a Corinto, al ritorno dalla spedizione nella Colchide. Il momento conclusivo.

Ma veniamo al testo, questi versi ci potranno fornire degli elementi in più per poi arrivare al figlicidio:
vv 214-266
vv. 488-498
Dobbiamo immaginare l'allestimento scenico della tragedia composto da una facciata di un edificio: la casa di Medea, con una porta.
La tragedia si svolge tra dentro, l'oikos e fuori, la skenè, l'ambito pubblico.
Medea già nel primo episodio esce di casa e sulla scena rimarrà fino alla fine, eccezione per l'uccisione dei figli. (I momenti di violenza e spargimento di sangue non sono mai rappresentati esplicitamente. )
Possiamo quindi già individuare una prima trasgressività/trasgressione di Medea: la donna esce dalla sua sfera domestica per prendere parola nella sfera pubblica. E' Euripide a suggerirci tutto ciò, in un primo momento, nei primi versi Medea all'interno della casa dà libero sfogo alle passioni, alla rabbia e al dolore, le frasi sono anticipate da interiezioni, dall'uso dell'ottativo che dà un'idea del desiderio di uscire dalla situazione di dolore dove si trova.
Nel momento in cui entra in scena, nello spazio pubblico, il registro cambia.
Per Medea il punto di riferimento non è l'interno ma il fuori. La vediamo davanti alla casa costituendo un punto fisso, dal quale vanno e vengono nutrice, bambini, Creonte, pedagogo e Giasone.
Non ci dobbiamo dimenticare che Medea è barbara quindi la sua casa è outer e alien. Quindi l'off-stage, l'interno della casa, è ancora più remoto e inaccessibile al pubblico.
Quindi li movimento è dall'interno all'esterno; nel finale troveremo Medea che sul carro vola via, oltre la casa, fuori scena, si allontana definitivamente dall'oikos.  Questa scelta di andare fuori scena non è scontata..per es. in un celebre omicidio nell' Agamennone di Eschilo, quando Clitemmestra uccide Agamennone, Clitemnestra rimarrà in casa dopo l'uccisione.

Ma veniamo a quello che dice, Medea inizia la sua rhesis riferendosi alla condizione universale delle donne, la loro subalternità al marito: la donna deve 'comprare' uno sposo come padrone del proprio corpo, si riferisce ovviamente alla dote che viene trasferita dalla casa paterna alla casa del marito.
Ma c'è di più, in una polis logocentrica, 'fallologocentrica' come dice Adriana Cavarero, gli uomini hanno riservato per la potenza del logos, staccandosi dalla corporeità che è animale, femminile.
Quindi la politica scaccia il corpo, ma poi sul corpo effettua un controllo. Comprandolo, stuprandolo...
(anche ai giorni nostri è bene evidente, consiglio per chi non l'avesse ancora letto il libro Il corpo della donna come luogo pubblico di Barbara Duden.)

Medea continua.. “il divorzio, l'apoleipsis è disonore per la donna”, sappiamo che la donna poteva chiedere il divorzio ma questo non solo era biasimato ma ostacolato. Plutarco nella Vita di Alcibiade ci racconta un fatto, di come Alcibiade impedisca fisicamente alla moglie di andare dall'arconte  a chiedere l'autorizzazione.
Solamente in un caso forse si riusciva ad ottenere il divorzio, quando era il padre a chiederlo, ma appunto in un caso particolare, quando la donna non avesse ancora partorito, infatti il passaggio dall'oikos paterno a quello del marito avviene definitivamente nel momento della procreazione, più che nell'atto matrimoniale.

Come era strutturato quindi l'oikos, inteso come casa ma anche campi e beni.
L'oikos è un luogo del comando. L'oikos si organizza intorno a un capo, il maschio al quale compete la relazione con la polis, il comando su moglie, figli e schiavi.
Compito del marito è istruire la moglie, in alcuni casi di 15 anni, il marito ne aveva almeno il doppio. Istruire la moglie ad essere una brava padrona di casa. A occuparsi quindi di lavori di cura. Addirittura Senofonte ci dice che gli dei hanno dato qualità diversificate a uomini e donne proprio in base alla funzione che hanno all'interno dell'oikos, la donna deve stare in casa,  amministra i beni con parsimonia e cura, e ha paura.
Addirittura la si accusa di rimanere al sicuro in casa mentre l'uomo esce e rischia la vita combattendo.

Nella seconda parte Giasone è accusato di essere àdikos, per quanto riguarda l'istituto matrimoniale lui risulta aver infranto i giuramenti. Ma quali giuramenti?
Mi aiuto con Foucault, la donna deve conservare la posizione di preminenza che il matrimonio le ha dato. Il marito non le promettefedeltà sessualema il marito fedele, pistòs, è quello che garantisce alla moglie i privilegi dati dal matrimonio, Giasone invece sposa un'altra donna, i figli di Medea diventeranno schiavi e lei dovrà andare in esilio.
Il marito può avere quindi altre relazioni per quanto riguarda la sfera sessuale.
(notevole vedere come quando si tratta l'adulterio nel mondo greco, lo si tratta come di una colpa che un uomo commette nei confronti di un altro uomo, il marito. È punito meno gravemente l'uomo che stupra perchè agisce sul corpo della donna mentre il seduttore insidia la patria potestà del marito avendo relazioni con sua moglie. )
 Per quanto riguarda le donne, in quanto mogli sono vincolate dal loro status giuridico e sociale, la loro attività sessuale deve situarsi all'interno del rapporto coniugale e il marito deve essere il loro partner esclusivo.
La donna dichiarata adultera va poi incontro a pene molto alte, come il divieto a presenziare a riti religiosi.
Quindi quello che rivendica Euripide per Medea non è l'amore non ricambiato, come intende il Gentili parlando di letto insaziato, ma di mancato rispetto di un patto, di un giuramento.
Medea viene colpita nell'unico status che la rendeva soggetto, quello di moglie.
Mentre per Medea “è destino volgere lo sguardo verso una sola persona.
Leggo due righe di Foucault che riassumono tutto ciò.
la temperanza del marito rientra nel campo di un'arte di governare, di governarsi, e di governare una moglie che bisogna tenere in pugno e al tempo stesso rispettare perchè essa è, nei confronti del marito, l'obbediente padrona di casa.pag 169 Foucault
e poi, che cosa si potrebbe fare contro questa ingiustizia?come reagisce Medea  a tutto ciò?
Nelle parole della nutrice, nei primi versi della tragedia, si vede autocommiserazione, Medea piange e si lamenta.
Il coro nel v 158 richiama Zeus come garante dei giuramenti, ma nulla di fatto.
Sarà Medea a dirlo: “per me chiunque è ingiusto (àdikos), e parla bene, merita la massima pena. v.580

Medea dice molto altro,  la sua condizione è quella di una donna straniera in una città greca. Tutto ciò vuole dire apolidia, mancanza di diritti e solitudine. Nella tragedia greca si troveranno molte figure di donne in completa solitudine, penso a Ipsipile..anche in questo caso ci sarà un infanticidio..ma questo ci porterebbe fuori tema....
Christa Wolf  a questo riguardo ci parla disoggetto postcoloniale”, ibrido, perchè partecipa di due culture, la greca e la colchica.
Medea rappresenta la maschera dell'altro, Medea è l'esclusa, c'è lei e ci sono le donne di Corinto.
Medea è una figura venuta da un altrove,  il suo mito ci rimanda a delle coppie oppositive, uomo- donna, barbaro-civilizzato, autoctono- non autoctono.

Ma veniamo al figlicidio.

Medea figlicida nasce con Euripide, o secondo la Johnston, da un patrimonio folklorico tradizionale.(i child killing demons)
facciamo un piccolo excursus storico-giuridico prima di passare al testo:
La rappresentazione teatrale di Medea è del 431, sta per iniziare la guerra del Peloponneso; già da qualche anno il progresso della democrazia coincide con la restrizione della cittadinanza.
Pericle nel 451 promulga una legge sulla cittadinanzachi non è nato da genitori entrambi ateniesi non deve aver parte alla città.La democrazia attica si dimostra intollerante e esclusivista verso quella moltitudine di coloro che non erano cittadini a pieno titolo. I figli nati da un genitore straniero non godevano dei più elementari diritti, come quello ad ereditare il kleros paterno, a contrarre matrimonio legittimo, e soprattutto quello di cittadinanza, che comprendeva privilegi anche come l'assegnazione delle diarie e le distribuzioni di grano.
Il decreto ebbe vita breve; le perdite subite dalla guerra del Peloponneso indussero gli ateniesi ad abrogarlo o quantomeno a non applicarlo più rigorosamente, la legge fu disattesa anche in favore dello stesso figlio di Pericle, Pericle il giovane, avuto con Aspasia. (che era di Mileto).
Una studiosa Giulia Sissa ha sottolineato come la donna con questo decreto diventasse co-datrice di cittadinanza per i suoi figli, e quindi cittadina anch'essa, io credo invece che ancora una volta sono le donne ad essere le più colpite, venendo così allontanate, mandate in esilio con i figli resi schiavi. Sappiamo benissimo infatti che la cittadinanza ha una connotazione maschile, è bilateralità tra nonno materno e padre. È da qui che viene la legittimazione del cittadino. Per esempio se si pensa ai nomi, si privilegia sempre l'elemento maschile, il secondo nome sarà quello del nonno materno.
La donna è detta aste, non politis, la donna appartiene alla città in senso fisico(astu) ma è esclusa dalla comunità cittadina (polis). Questo per contestualizzare il fatto che Euripide introduca il figlicidio. Momento storico di chiusura verso l'altro dove all'altro non vengono riconosciuti i diritti di cittadinanza.

Vv 1059-1079

Medea è consapevole di quello che sta per compiere e di quello che la aspetta.
L'uso del verbo τολμήσο, nei versi più celebri della tragedia, ('capisco quali mali dovrò sostenere'),  da τολμάω, osare, aver la forza di.., indica che dovrà agire ma anche subire qualcosa che non desidererebbe, Di Benedetto parla diun agire che è anche un soffrire”.
La sua tragicità sta nell'avere all'interno di sé momenti di conflittualità dai quali scaturisce la consapevolezza e la sua determinazione all'agire. Il lavoro su di sé di riflessione porta a una lucida consapevolezza.
La consapevolezza è 'contrassegno specifico del personaggio tragico e attribuirgli povertà interiore e schiacciarlo sotto l'azione degli dei, tutto questo significa misconoscere ciò che la tragedia greca ha di proprio, ciò che la rende ancora oggi attuale.”
Nel nostro caso Medea non si pone alcun problema del volere degli dei, dopo essere cellula scissa, così ne parla Di Benedetto, consapevole dei bouleumata, attua il suo destino.
Sapere è lutto e sofferenza, “un'infelice verità”[1].
“Euripide metteva in discussione l'esistente, apriva un contenzioso con esso, e lasciava intravedere nuove possibilità”, non è interessato a una funzione stabilizzante della tragedia. Quella che lui dipinge è una realtà che non si riesce a rendere a lieto fine.
I greci temono Medea e Medea è il rimosso della civiltà greca.

Medea colpisce i figli per colpire il potere del marito, cioè i figli, la discendenza.
Come Procne, che uccide i figli dopo aver saputo che la sorella è stata orribilmente stuprata dal marito.
Sicuramente siamo davanti a pulsioni distruttive, o meglio, autodistruttive, di una maternità che le circostanze rendono estrema. Medea è cosciente della sua capacità di dare e togliere la vita.
Per Medea il figlicidio è l'unico atto che può liberarla dalla sua condizione di moglie e madre, uccidere i figli è tagliare i vincoli con la famiglia.
O c'è di più, si parla spesso di Medea che uccide i figli spinta dalla passione ma io credo invece che il tradimento di Giasone sia l'elemento scatenante di una presa di coscienza delle facce del 'colonialismo' e del rapporto alienato con il colonizzatore.
Lo dice Euripide e lo ripete anche Ovidio molti secoli dopo: la  verginità di Medea è diventata preda di un brigante straniero.
Altre donne in altri contesti e altre epoche..
-La llorona in Mexico, dopo aver ucciso i figli si uccide. Trauma della perdita delle origini dei popoli indigeni, sottrazione dell'identità ad opera dei popoli colonizzatori.
-Margaret Gardner

Per concludere due suggestioni:
Euripide con Medea 'figlicida' arriva terzo, primo Euforione con un dramma di Eschilo, secondo Sofocle, questo è emblematico del gusto del pubblico ateniese di quel momento.........
Una suggestione sulla contemporaneità, mi viene in mente un'intervista a uno psichiatra dell'OPG di Castiglione delle Stiviere che descriveva l'infanticidio e il figlicidio comeun reato a più mani”, quindi un reato che non ha un'unica colpevole.


[1]     Baccanti, 1287

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